La magia del volo

Se ci pensi un attimo è una cosa assolutamente incredibile! Sei seduto su un seggiolino piuttosto scomodo sparato con altre decine di altri seggiolini a diecimila metri di altezza ad una velocità di mille chilometri all’ora. E non sei appeso a nulla! non c’è un rete di salvataggio, non c’è un piano B! Eppure voliamo serenamente, quasi come fosse una cosa naturale. Voliamo! ci pensi?

Il trasporto aereo è in assoluto una delle più affascinanti invenzioni dell’uomo che può saltellare da una parte all’altra del globo a velocità prima impensabili. Narrano le cronache dell’epoca che nel 1985, quando Bob Gheldof e Midge Ure organizzarono il mitico Live Aid in Europa e negli Stati Uniti, Phil Collins sia riuscito ad esibirsi a Londra e poi a raggiungere Philadelphia ed esibirsi ancora nella stessa giornata grazie all’aereo supersonico Concorde della British Airways. Il trasporto aereo ci ha fatto il dono dell’ubiquità. O quasi.

Eppure la cosa non ci turba: andiamo in aeroporto, ci rompiamo un po’ le palle ad aspettare, ci sottoponiamo a bizzarri rituali di dubbia efficacia che vorrebbero aumentare la nostra sicurezza, saliamo in un tubo di lamiera e ci facciamo sparare come proiettili nel cielo come fosse la cosa più normale del mondo.

Ma a parte l’aspetto affascinante della cosa, io non amo particolarmente prendere l’aereo, più che altro per le tratte corte. Per esempio per un volo di un’ora e mezza da Venezia a Parigi mi tocca perdere un sacco di tempo perché l’aeroporto non è esattamente sotto casa, poi ti tocca arrivare lì un sacco di tempo prima, che non serve a niente perché tanto hai solo il bagaglio a mano. Ma devi fare comunque la coda per i controlli, toglierti scarpe e cintura, svuotare le tasche, e poi il portatile, e il carica batterie, e cosa sono tutti quei cavi nello zaino? sembra una bomba. E lo shampoo no: se supera i 100 ml te lo buttano via. Perché potresti far esplodere l’aereo con lo shampoo, eh sì. Io non ho pazienza per tutte queste cazzate, io devo farmi sparare in cielo! Un bel giro in giostra e poi, arrivati a destinazione, la vita ricomincia.

Ma se ti fanno aspettare troppo uno potrebbe dimenticarsi della magia e pensare alla rete di salvataggio che non c’è.

Stasera per esempio. Già venivo da un frenetico e troppo corto weekend a casa (ma di questo ne parliamo un’altra volta) e salutare fratello-cognata-nipote che mi hanno accompagnato è sempre triste. Poi i bar dell’aeroporto chiudono (parliamone: che senso ha?), poi mi prendo del bombarolo perché ho qualche cavo per ricaricare gli aggeggi elettronici. Poi mi tocca aspettare un’ora per sapere qual è il gate del mio volo, seduto ad un caffe, ovviamente chiuso. E mentre aspetto guardo il tabellone con insistenza e ti dicono che il volo dovrebbe partire alle 21h50, ma la partenza effettiva prevista è alle 21h55.

Perché?

Perché quei cinque minuti? se guardo per mezz’ora quel tabellone che non vuol dirmi a che gate andare, quei cinque minuti dopo un po’ si trasformano in un messaggio subliminale: qualcosa non va. Poca roba, per carità, sono solo cinque minuti. Ma qualcosa.

Poi finalmente a 15 minuti dall’imbarco, quel subdolo tabellone mi indica il numero del gate. Arrivo al desk e c’è la solita bolgia, un sacco di gente che puzza, maledetti loro, e gli addetti all’imbarco sono lì che aprono cassetti, cercano qualche carta, accendono il microfono, ma no aspetta! lo spengono e confabulano. Ecco, c’è qualcosa.

Mi state sparando nel cielo su un seggiolino, non voglio vedervi nervosi. Quando arrivo all’imbarco voglio trovare Barbie e Ken sorridenti, non voglio vedervi confabulare. Mi state mandando segnali negativi, mi fate pensare che ci sia qualcosa e mi rovinate la magia.

E poi siete lenti, troppo lenti. E passate tre volte a dirci di metterci in fila, ma noi siamo già in fila belli ordinati, siamo solo stanchi di aspettare e la magia si esaurisce sempre più. E poi ti presento la carta di imbarco con il cellulare, mostrandoti la tua app e tu mi chiedi se è una fotografia, e controlli il tuo computer, non guardi nemmeno la mia carta di identità e se non te la richiedo ti dimentichi di restituirmela. Per forza poi non vi accorgete che un povero cristo sbaglia aereo e si trova a Bari anziché a Cagliari. Non state facendo niente per mettermi a mio agio. Partiamo o no?

No. Superato il desk ci ammassiamo nel tunnel e aspettiamo un sacco. Mentre aspetto in coda vedo il motore dell’aereo che è acceso e si riscalda. Poi osservo che la scritta della compagnia non è allineata bene: la prima lettera è un po’ più bassa. La prima lettera sta in un elemento del motore che funge quasi da coperchio alla struttura, e mi dà l’impressione di un vasetto il cui coperchio non sia stato avvitato fino in fondo. Non mi piace, mi state dando troppi segnali negativi.

E le persone continuano a salire in aereo troppo lentamente, salgono e fanno casino con i bagagli nelle cappelliere, rallentano tutti ma il personale di volo non è d’aiuto. Due addetti vestiti di arancione con le fasce catarifrangenti aspettano annoiati alla fine del tunnel di fianco al portellone di entrata, due hostess appena dentro non si curano nemmeno dei passeggeri che entrano. Anzi aprono uno stipetto e cade della roba. Ridono, raccolgono le cose, chiacchierano tra loro mentre nel corridoio i passeggeri continuano a fare casino. La magia è svanita, anzi mi siedo finalmente al mio posto-finestrino e per la prima volta sono nervoso. Ho preso un sacco di aerei nella mia vita, e per la prima volta sono a disagio. E siamo pure in ritardo.

Poi parte la registrazione con le indicazioni di sicurezza e per un attimo si spengono le luci: una frazione di secondo si spengono e si riaccendono, ma la voce registrata si blocca. Dopo qualche secondo riparte dall’inizio, le hostess si guardano con espressioni tra lo stupito e l’interrogativo, ma poi riprendono il balletto delle indicazioni come nulla fosse. Comincio a sentire tutti i rumori e gli scricchiolii. Forse ci sono sempre stati e io non ci ho mai fatto caso. Ma stavolta c’è qualcosa.

Sono sempre più a disagio. Penso che se cadiamo io ho il portafoglio nello zaino nella cappelliera e quindi faranno più fatica a identificarmi. E poi a Parigi ho già cambiato tre indirizzi, forse nessuno sa dove vivo adesso. Mando a mio fratello il mio indirizzo, dicendogli che sicuramente non gli servirà mai, ma non si sa mai. Cerco di non far trasparire il mio nervosismo, evito i saluti. Ma mio fratello percepisce il disagio. Mi dice di registrare il suo numero sul telefono anche come ICE 1, e quello di mia cognata come ICE 2, che è la convenzione internazionale in caso di emergenza. In Case of Emergency. Nel caso ci fosse qualcosa che non va.

Fa caldo, apro un bottone della camicia e mi asciugo il sudore dalla fronte con un fazzoletto di carta. Quasi quasi prendo il portafoglio dallo zaino nella cappelliera e me lo metto in tasca, ma arrivano i miei vicini di posto e si siedono, non voglio fare casino. Siamo stretti stretti, braccio contro braccio e il suo è caldissimo. Spero di addormentarmi prima possibile. Ormai abbiamo già 35 minuti di ritardo, la magia è svanita da un’ora e io ho troppo caldo. Spero di addormentarmi, in questo sono molto bravo e infatti mi addormento. Mi risveglio con un sobbalzo quando le ruote del carrello rimbalzano sulla pista a Charles de Gaulle. Madido di sudore.

Finalmente ci fermiamo, raccolgo le mie cose (non dimenticare il kindle! anche se non è servito a granché) ed esco dal tubo di latta. Finalmente sulla scaletta una boccata di aria frizzante, un rapido giro col bus fino al terminal, tiro dritto che tanto non ho bagagli in stiva e di nuovo fuori. Chiamo un Uber e Mohammed mi porta a casa, lungo il tragitto chiacchieriamo un po’ e mi rilasso, ma non gli racconto del viaggio. Finalmente a casa e finalmente doccia.

Quel qualcosa che non andava alla fine non c’era, o forse sì: era l’atmosfera guasta. Mi stai sparando come un proiettile nel cielo, e io chiedo solo che siano Barbie e Ken sorridenti ad augurarmi buon viaggio. Invece ho trovato delle semplici persone di domenica sera un po’ scazzate che probabilmente erano stanche più di me.

La magia è svanita. E quando i sogni svaniscono lasciano spazio ai demoni.